Alfonso Gatto
"Cadrò, cadrò sempre fino all’ultimo giorno della mia vita, ma sognando di volare”
Alfonso Gatto è la figura intellettuale più importante della Salerno del 900. Poeta, innanzitutto, legato all’esperienza più importante del secolo per la poesia italiana, l’ermetismo, che seguendo i maestri Montale e Ungaretti, vide insieme al Nostro, Salvatore Quasimodo, Mario Luzi, Leonardo Sinisgalli, segnando il rinnovamento della poesia italiana. Ma rinchiudere Gatto nel novero della poesia, a cui comunque è legata la sua fama letteraria, è povero e ingiusto. La sua straripante vitalità e la sua ricerca di nuove forme espressive, lo hanno rivisto giornalista (anche sportivo), prosatore, politico antifascista (fu arrestato nel 1936 per ragioni politiche e partecipò alla Resistenza), autore per bambini, critico letterario militante e critico d’arte, e infine pittore, con disegni e quadri che vanno ben oltre la qualità di un bravo dilettante.
La sua poesia e la sua vita sono segante dall’amore, tema che si intreccia con altri – a partire dall’impegno politico – e che contraddistingue tutta la sua produzione poetica, durata oltre quarant’anni, dalla pubblicazione del primo libro, Isola (1934) fino alla morte.
Nacque a Salerno, studiò al Liceo Tasso, ma abbandonò gli studi per mancanza di mezzi economici, e andò a Milano, iniziando una vita di peregrinazioni, tra la capitale lombarda, poi Firenze, Roma, subendo sempre però il richiamo di Salerno, che non abbandonò mai sia nei versi (Salerno, rima d’inverno), che nella frequentazione. Amava il suo Centro Storico – era nato nel pieno delle Fornelle, a via delle Galesse – e frequentava con passione il ristorante Vicolo della Neve, sui cui muri sono ancora incisi alcuni versi scritti di suo pugno.
Le sue prime poesie furono pubblicate, con attenzione dei maggiori critici, nel periodo milanese, già negli anni ’30; il suo trasferimento a Firenze segnò anche una vocazione letteraria militante, attraverso la direzione di una rivista letteraria, Campo di Marte per l’editore Vallecchi. Insegnò a Bologna per breve tempo, trovando un po’ di sicurezza economica, ma poi entrò nella Resistenza, iscrivendosi al Partito Comunista, da cui uscì polemicamente nel 1951. Nel periodo di militanza, lavorò al giornale comunista L’Unità, collaborando anche con Gianni Rodari. E di questo periodo è bello ricordare le sue cronache dal Giro d’Italia, che lo videro inviato per uno sport che all’epoca era il più seguito dia tifosi; e alla passione per la bicicletta si accompagnava anche una, da lui stesso raccontata, incapacità a portarla, cosa anomala in un tempo in cui tutti pedalavano. Questa inabilità lo portò, dopo un’infelice lezione del più grande maestro possibile, Fausto Coppi, a scrivere i versi che abbiamo messo in epigrafe: “cadrò, cadrò, sempre fino all’ultimo giorno della vita, ma sognando di volare”. Era anche tifoso di calcio, del Milan innanzitutto, ma con una passione anche per la Salernitana, che gli fece scrivere odi alla serie C.
Morì nel 1976 in un incidente stradale. Fu sepolto nella città, dove riposa con un commiato scritto da Montale: Ad Alfonso Gatto per cui vita e poesie furono un’unica testimonianza d’amore.
Salerno lo ricorda con una strada importante, ma non certo bella – il viadotto Gatto che porta dalla Costiera al porto commerciale – ma specialmente con una serie di opere di street art. Innanzitutto, con la scalinata che porta al Rione Mutilati da via Velia, con immagini e poesie dell’artista Green Pino. E poi con l’operazione interessantissima voluta e prodotta dalla Fondazione che prende da lui il nome, proprio nel suo rione delle Fornelle, dove vari artisti di strada hanno arricchito le mura del quartiere di murales dedicati a lui e alle sue poesie, ma anche ad altri poeti, trasformando l’antichissimo quartiere medievale degli amalfitani in un museo a cielo aperto.