Enogastronomia

Mare ed orto, su queste basi si costruisce il buon mangiare locale

Parlare di cucina “salernitana” è un azzardo. Troppo vicina Napoli, e troppo intensi gli scambi per capire che cosa è nato a Salerno e che cosa è stato importato. Certo, l’ottima cucina della nostra città non si distingue da quella costiera della Campania, marinara certo, ma con grande contributo dell’orto, perché non dimentichiamo che pomodori e melanzane, peperoni e zucchine si coltivano nelle falde del Vesuvio tra Napoli e Salerno, e quindi mare ed orto, su queste basi si costruisce il buon mangiare locale.

Un piatto originale certamente c’è, il piatto più tipico dello street food locale: la milza imbottita mangiata nel panino. Il profumo della festa di san Matteo, a cui i salernitani sono molto devoti, è quello della milza, che, odorosa di aceto, aleggia nelle strade. Una casa salernitana non può fare a meno della devozione della milza cucinata per la festa, e se non c’è stato modo e tempo, per strada si possono comprare i panini venduti a ogni angolo. A proposito di street food, a Salerno è diventato un classico il cuoppo di alici fritte. Le alici vengono dalla Costiera, il cuoppo è l’involto in cui vengono offerte. E poi, per chi se la sente, c’è o’ musse ‘e puorc’ che poi è in realtà costituito da prevalenza di carni di vitello, la testina, la trippa. È la versione locale di quello che a Napoli si chiama o’ pere e o’ musse, parti di scarto del vitello, lessate e mangiate nel cuoppo con abbondante limone.

L’orto è il regno della cucina campana. E la parmigiana di melanzane è la regina incontrastata. Di versioni della parmigiana ce ne sono mille, a Salerno va forte quella ripassata nell’uovo dopo essere infarinata, roba per grandi appetiti. Verdure e ortaggi tanto diffusi e famosi, che nel Medio Evo gli abitanti della Campania venivano chiamati “mangiafoglie”, per la loro passione per questi erbaggi, anche nelle mense importanti, lì dove nel resto d’Italia si privilegiava la carne, cibo dei nobili che andavano a caccia.

Poi c’è il pesce, ovviamente, cucinato in tanti modi semplici, ma con la ricetta dell’acqua pazza (cottura in tegame con olio, acqua e pomodorini), che forse caratterizza la cucina marinara locale più di ogni altra. Provare la pezzogna, un pagello che si pesca lungo la Costa Amalfitana, pesce pregiato di profondità. Insieme con l’umile alice è il più caratteristico pesce del Mare intorno a Salerno.

Ma anche le carni hanno il loro ruolo. Il ragù e la genovese sono i piatti della tradizione locale che si possono assaggiare nei migliori ristoranti, ma che, si ha la fortuna di essere invitati nelle case dei salernitani, sono la specialità delle cuoche, e dei cuochi, di famiglia. Ognuno con la sua versione, inevitabilmente l’originale. La genovese, che con la città della Lanterna non ha alcun rapporto, ha un’etimologia oscura, c’è qualcuno che dice che l’origine del nome venga dalla famiglia Genovese, famiglia originaria proprio di Salerno, che darebbe dunque alla città di San Matteo la prima ricetta. Improbabile, ma intrigante.

I dolci sono quelli della tradizione campana, dalla pastiera, alle sfogliatelle, al babà, con le incursioni nelle novità come ricotta e pere, o la scazzetta con le fragoline. Ma c’è un dolce della costiera che si mangia solo qui, la melanzana con il cioccolato. Sembra strano? È eccezionale. Provare per credere.

Parmigiana di melanzane alla “salernitana”.

La preparazione di questo piatto, usato dalla maggioranza delle famiglie, nel salernitano è alquanto più complicata. Le melanzane vengono preparate e affettate nel modo su descritto. La salagione sotto peso non deve essere né troppo intensa, né prolungata. Le fette, una per una, vengono infarinate, dorate in uovo battuto, fritte e deposte su carta assorbente. Vengono poi disposte nel ruoto col sugo di pomodoro con basilico, la mozzarella, il formaggio ed il pepe e cotte per il tempo necessario con le solite modalità.

Milza

Questo piatto è tipicamente salernitano e si usa specialmente in certe ricorrenze e nelle feste popolari, durante le quali è ancora facile rinvenirlo nelle osterie e nelle bancarelle con annesse cucine ambulanti.

Preparazione: la milza di bue o di vitella (che a Napoli viene lasciata ai cani) viene lavata e pulita con l’asportazione di tutte le parti velamentose e dei filamenti che la ricoprono.

Asciugata, viene perforata ampiamente, per il lungo, con un coltello abbastanza appuntito, senza aprirla all’estremità opposta, in maniera da costituire un lungo sacco in cui si possono mettere, ben compressa, l’imbottitura, costituita da: prezzemolo in gran quantità, misto a pezzetti di aglio, foglie di menta, pezzetti di peperoncino forte ed il sale necessario. Con l’ago e il filo si chiude, con un paio di punti, l’apertura del sacco. Si soffrigge e si arrosola la milza in abbondante olio di oliva, aggiungendo, in seguito, una buona quantità di aceto con un poco di acqua, per farla cuocere a sufficienza. Successivamente, a mano a mano che l’acqua si evapora, questa viene sostituita con altro aceto, concentrando in seguito il sugo fino al punto desiderato.

Si taglia allora la milza in fette trasversali di pochi centimetri di spessore e si rimette nel tegame, lasciandovela cuocere ancora per qualche minuto e facendola poi raffreddare, perché il piatto non va servito, abitualmente, caldo, ma secondo l’uso popolare antico, freddo, in mezzo al pane imbevuto dal sugo aromatico e piccante della milza stessa.

Melanzane al cioccolato

Questo piatto è una specialità di Maiori, usato nella ricorrenza della Festa dell’Assunta.

Sbucciare le melanzane, dopo averle lavate e tagliate a fette larghe e non molto spesse, come si usa fare per la parmigiana. E friggerle una prima volta, senza troppo arrosolarle. Attendere che si siano raffreddate in carta assorbente e rifriggerle dopo averle infarinate ed indorate.

Per un chilo di melanzane si prepara a parte: un litro di acqua e mezzo chilo di zucchero in essa disciolto e si lascia sul fuoco fino alla formazione di un buon giulebbe. In una tazzina o in mezzo bicchiere di acqua calda si sciolgono, secondo la regola, cento grammi di cacao amaro. Si prepara anche una tavoletta di cioccolato amaro di circa 200 grammi grattugiato. Occorre poi una mollica di pane raffermo non più grande di un uovo, da sgretolare ben bene nel giulebbe già preparato.

Le fette di melanzane vengono passate ad una ad una nella miscela di giulebbe e cioccolata e disposte a strati in un adatto recipiente di porcellana contenente già nel fondo alquanta di questa miscela. Ad ogni strato si aggiungono: pinoli, mandorle sbucciate, e tritate, nonché cedronata tagliata a pezzetti.

L’ultimo strato si cosparge del giulebbe e del cioccolato avanzato, di pinoli e di altri pezzetti di cedronata.

Genovese

Per mezzo chilo di carne occorre circa mezzo chilo di cipolle. Preferite il lacerto, che viene bucato per il lungo, allo scopo di permettere l’introduzione di striscette larghe un dito di buon prosciutto paesano, sale e pepe.

Si mette insieme in casseruola, possibilmente di rame, carne, cipolla finemente tagliuzzata, olio e burro e sale. Si copre il tutto di acqua e si lascia ben coperto a fuoco moderato. Una volta sotto il coperchio si metteva una carta da filtro a perfetta tenuta. Sorvegliare attentamente la cottura. Quando l’acqua è tutta evaporata si lascia dorare il resto, aggiungendo, di tanto in tanto, un pochino d’acqua per non fare attaccare o bruciacchiare il contenuto del recipiente. La concentrazione deve arrestarsi al punto da permettere di condire bene la quantità di tagliolini o di altri maccheroni occorrenti.

Le ricette sono tratte da: Achille Talarico, Gastronomia salernitana, Salerno, Edizioni Salernum, 1989