Giovanni Amendola

Giovanni Amendola è una delle più illustri figure del primo antifascismo, quello che si oppose alla presa del potere di Mussolini. Morto in seguito alle bastonature di una squadraccia, a lui è dedicata la più importante piazza di Salerno, città nella quale fu eletto deputato.

Giovanni Amendola è l’eroe e il martire dell’antifascismo salernitano. A lui è dedicata la Piazza di fronte al Comune e una statua. 

Nacque a Napoli da una famiglia originaria di Sarno in provincia di Salerno, e la sua carriera politica lo portò all’elezione nel collegio di Mercato San Severino e poi di Salerno. 

Iniziò la carriera come giornalista, collaborando prima con la Vove di Prezzolini e poi con il Corriere della Sera, con il cui direttore Albertini costruì un rapporto di amicizia. Quando scoppia la guerra parte per il fronte e combatte sull’Isonzo guadagnando una medaglia di bronzo. 

Finita la guerra tenta la carriera accademica, continua il giornalismo, ma la sua vocazione era la politica. Viene eletto alla Camera prima nel 1919 e poi nel 1921, come liberale con posizioni vicene a quelle di Francesco Saverio Nitti, e nel governo Facta del 1922 diviene Ministro delle Colonie. Siamo nell’anno della Marcia su Roma e Amendola è tra quelli che chiedono inutilmente al Re di proclamare lo stato d’assedio e bloccare l’avanzata delle milizie fasciste. Inizia così la sua battaglia antifascista, sia dai banchi del Parlamento che dalla tribuna del Mondo, il giornale che ha fondato. 

Subisce per questa sua opposizione ben tre aggressioni da parte delle squadracce fasciste, la prima e la seconda a Roma, dove viene gravemente ferito. Ma non si piega ed è uno degli animatori dell’Aventino, il boicottaggio dei lavori parlamentari da parte dei deputati antifascisti dopo l’attentato a Matteotti. 

Ma nel luglio del 1925 vicino a Montecatini – dove aveva partecipato a un incontro politico - gli viene teso un vero e proprio agguato: ferito nuovamente con mazze chiodate, rifugia in Francia e lì muore nel 1926 dopo un difficile intervento chirurgico dovuto alle conseguenze dell’ultimo pestaggio. 

Uno dei figli, Giorgio, aderirà al Partito Comunista di cui diverrà uno dei massimi dirigenti nazionali, legato comunque a Salerno, città nella quale sarà eletto più volte alla Camera.