Il Museo archeologico provinciale di Salerno è una tappa obbligata per chi voglia avvicinarsi alle origini della storia del territorio. Ospitato negli spazi dell'ex monastero di San Benedetto, conserva eccezionali reperti archeologici che spaziano dalla Preistoria fino all'Età romana.
Il museo
Istituito nel 1927, il museo ha conosciuto diverse sedi fino a trovare la sua collocazione definitiva nel cuore della città di Salerno, a pochi passi da via dei Mercanti.
Ospitato inizialmente nel Palazzo di Governo, attuale sede della Provincia di Salerno, nel 1939 fu trasferito nella Casina dell’Orto agrario in seguito allo scoppio della Seconda guerra mondiale, per ritornare nuovamente nella sede originaria fino al 1964.
Fu allora che il direttore Venturino Panebianco scelse come collocazione definitiva del museo l’antico complesso medievale di San Benedetto, edificio di straordinario interesse architettonico il cui impianto originario è di epoca longobarda. Il progetto fu affidato all’architetto Ezio de Felice, che propose un allestimento su due piani ancora oggi considerato ammirevole per la portata innovativa e il rispetto dei luoghi.
Nel 2013 l’Amministrazione provinciale ha ampliato e aggiornato il percorso espositivo, avviando un’attività di rilancio del museo archeologico e promuovendo al suo interno attività didattiche, mostre ed eventi culturali.
La collezione
Il museo accoglie una ricchissima documentazione proveniente dalla città di Salerno e dai maggiori siti archeologici della provincia.
I reperti spaziano dalla Preistoria alla Tarda Età imperiale romana e comprendono resti animali e utensili domestici, armi e gioielli, statue e decorazioni architettoniche.
Lungo il percorso espositivo si incontrano oggetti di uso quotidiano e corredi per la guerra, omaggi agli dèi e splendidi vasi decorati, fino alla bellissima testa di Apollo, diventata il simbolo dei Musei provinciali di Salerno.
L’esposizione segue un percorso cronologico e topografico.
- Si parte dal lapidario, nel piccolo giardino antistante l’ingresso, che raccoglie opere di Età romana quali statue, iscrizioni e urne cinerarie, rinvenute nella città di Salerno dal tardo Seicento in poi.
- La sezione preistorica al piano terra mostra reperti riconducibili soprattutto al Neolitico e al Paleolitico. Alcuni di questi oggetti sono stati rivenuti a Palinuro e nella grotta di Polla e in quella di Pertosa.
- L’Età del ferro è testimoniata da reperti sulle principali correnti culturali che caratterizzarono la Campania e il Salernitano:
- la cultura villanoviana, che prevede la cremazione del morto, le cui ossa combuste vengono racchiuse in un vaso coperto da una ciotola, se il defunto è una donna, o da un elmo, se uomo. Di questa fase storica sono esposti i materiali provenienti da Pontecagnano e Sala Consilina;
- la cultura delle tombe a fossa, scavate direttamente nel terreno, la cui esistenza è testimoniata da corredi provenienti dalla Valle del Sarno e dall’Alto Sele.
- Il periodo greco è testimoniato da vasellame di ceramica e in bronzo risalente soprattutto al VI secolo, mentre da Oliveto Citra proviene una tomba del V secolo comprensiva di scheletro e corredo funebre.
- Al primo piano sono esposti i reperti provenienti dal sito etrusco-campano di Fratte (VI - III sec. a.C.), importante insediamento anteriore alla Salernum romana situata alla periferia settentrionale dell’attuale città. vasi raffiguranti scene mitologiche greche, vasellame in bronzo di tradizione etrusca, corredi funebri.
- Una specifica sezione è dedicata alla celebre testa bronzea di Apollo (I sec. a.C. - I sec. d.C.), rivenuta nel 1930.
Tesori da scoprire
- Il Complesso di San Benedetto
Fu costruito tra il VII ed il IX secolo, presso il pianoro denominato Hortus magnus, sulle mura orientali del sistema difensivo voluto da Arechi II. Nel 930 il monastero assunse il rango di abbazia. Tra le sue mura furono ospitate importanti figure storiche, come l’abate Desiderio, futuro papa Vittore III, e Gregorio VII, che qui morì. Il monastero, passato negli anni dai benedettini agli olivetani a seguito delle leggi napoleoniche, fu soppresso nel 1807 e trasformato in distretto militare, mentre la chiesa fu adibita a Real Teatro per essere restituita alla Curia solo un secolo dopo. Attualmente si sono conservati diversi parti del quadriportico romanico e del loggiato rinascimentale del “Castelnuovo Reale”, appartenente al palazzo della regina Margherita di Durazzo.
- Testa di Apollo - I sec. a.C. – I sec. d.C.
La testa in bronzo raffigurante il dio Apollo è stata trovata nelle acque del Golfo di Salerno il 2 dicembre 1930, dopo essersi impigliata nelle reti di alcuni pescatori. La testa rappresenta uno straordinario esempio della bronzistica di ispirazione greca o magno greca del tardo Ellenismo, da alcuni ritenuta opera del bronzista campano Pasiteles, summus et artifex diligentissimus, attivo a Roma e a Napoli nel I sec. a.C.
- Deinos attico a figure nere - fine del VI e gli inizi del V sec. a.C.
Tra i vasi figurati provenienti dalla necropoli di Fratte, spicca un grande deinos attico a figure nere attribuito al Pittore di Antimenes. Il deinos, come il cratere, costituiva l’elemento centrale del simposio ed era destinato a contenere il vino. Di notevole interesse è la decorazione del vaso, con scene mitologiche riccamente illustrate. L’opera reca tracce di un restauro avvenuto prima della sua deposizione nella tomba, a testimonianza dell’eccezionalità dell’oggetto già avvertita dagli antichi.
Curiosità / da sapere
La “cultura villanoviana” o civiltà villanoviana risale alla prima Età del Ferro e rappresenta la fase più antica della civiltà etrusca. Il nome deriva dalla località di Villanova, una frazione del comune di Castenaso vicino Bologna dove, fra il 1853 e il 1855, furono ritrovati i i resti di una necropoli, costituita da ben 193 tombe
Nel racconto La pesca miracolosa del 5 maggio 1932, Giuseppe Ungaretti narra del ritrovamento miracoloso della testa di Apollo e della visita del poeta al museo stesso: “E’ già quasi notte, e in fila tornano in porto i pescatori d’alici. Raccogliendo le reti, una sera, a una maglio restò presa non la gola d’un pesciolino, ma a un cernecchio, una testa d’Apollo. Fu allora alzata in palmo d’una mano rugosa e, tornata a dare vita alla luce sanguinando per le vampe del tramonto – al punto del collo dove la reciso – a quel pescatore parve il Battista. L’ho veduta al Museo di Salerno, e sarà prassitelica o ellenistica, poco importa: ma questo volto, che per più di duemil’anni fu lavorato dal mare nel suo fondo, ha nella sua patina tutti i colori che oggi abbiamo visto, ha conchigliette negli orecchi e nelle narici: ha nel suo sorriso indulgente e fremente, non so quale canto di giovinezza risuscitata! Oh! Tu sei la forza serena e la bellezza. Quale augurio non ci reca quest’immagine che, fra gli ulivi, è finalmente tornata fra noi”.
L’architetto De Felice, che ha curato il progetto di restauro e allestimento del Museo archeologico provinciale tra il 1956 e il 1964, è considerato uno dei caposcuola dell’esperienza museografica italiana. Architetto e docente universitario, esperto in restauro e museografia, artista e collezionista poliedrico, ha firmato numerosi progetti in tutta Italia. L’eccezionale qualità dell’intervento salernitano gli portò nel 1966 l’assegnazione del Premio Nazionale In/Architettura.
Il museo fa parte della rete Salerno Musei --> Scarica la mappa
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"I musei si raccontano" (2021) - I musei provinciali, con Paky Memoli e Wilma Leone.