Salerno in età moderna

Nella seconda metà del 1500, grazie a Ferrante Sanseverino, Salerno diventa punto di raccolta dei più grandi medici ed intellettuali del tempo, cercando di ritrovare l'antica gloria della Scuola medica Salernitana.

Dopo il periodo svevo e buona parte di quello angioino, nel quale era stata città demaniale, Salerno nel 1439 fu infeudata agli Orsini per passare, nel 1463, ai Sanseverino, mantenendo in questa condizione un ruolo di capitale di uno Stato indipendente e di raccordo tra Napoli e le province del Principato. Con l’avvento degli spagnoli, soprattutto per la progressiva forza attrattiva di Napoli, capitale e grande città, Salerno fu interessata da un processo di provincializzazione che le impedì di emergere nei confronti dei centri minori rimanendo tuttavia centro amministrativo del Principato Citeriore con funzione di raccolta e smercio dei prodotti agricoli provenienti dai feudi dei Sanseverino.

Visse un periodo di ripresa sotto Ferrante Sanseverino, ultimo principe di Salerno, che raccolse attorno a sé medici e grandi intellettuali come il filosofo Agostino Nifo e l’umanista Pomponio Gaurico, grazie ai quali cercò di rinverdire la gloria della scuola medica salernitana. Dopo la congiura nella quale Ferrante fu accusato di essersi alleato con i turchi e francesi contro il viceré spagnolo Toledo (1557), la città fu tolta ai Sanseverino e divenne di demanio regio. Fu in seguito rivenduta, nel 1578, dal sovrano al mercante Nicola Grimaldi, duca di Eboli e finalmente, nel 1590, Salerno con un versamento di 90.000 ducati riuscì a riscattarsi tornando ad essere città demaniale

Superata dal punto di vista demografico dai suoi stessi casali, Salerno non riuscì a guidare l’economia del contesto provinciale, avendo perso rilievo già da tempo sul piano mercantile, pur conservando rinomanza soprattutto per la scuola medica. Nel Seicento la cinta muraria della città è ferma al tracciato del Cinquecento.

Nel Seicento la rivolta antispagnola si propagò anche a Salerno. Guidata da Ippolito da Pastina, pescivendolo come Masaniello, è mirabilmente descritta da un illustre salernitano, Fabrizio Pinto, che  fornisce una precisa e dettagliata visione della città dell’epoca.

Dopo la peste e il terremoto di fine secolo assistiamo ad un significativo rinnovamento dei luoghi di culto secondo i dettami tridentini. Nel Seicento e Settecento le chiese di Salerno prendono quasi tutte l’aspetto attuale: il barocco prende piede, cambiando le antiche architetture medievali. Così è per il Duomo che viene ristrutturato a causa di terremoti, e per San Michele, antico monastero dedicato al Santo guerriero amato dai longobardi, o per San Giorgio, anch’esso antico monastero, che prende l’aspetto attuale, diviso tra la Chiesa, e le caserme dei carabinieri e della Guardia di Finanza i cui ingressi si intravvedono su via Duomo. Nel caso di San Giorgio si crea il capolavoro, specialmente per merito dei Solimena, Angelo e Francesco, che l’affrescano per intero. Tra Seicento e Settecento si sviluppa anche l’edilizia signorile. Sorgono alcuni dei più bei palazzi di Salerno.  Di fine Seicento sono i palazzi barocchi dei Pinto, dei Carrara degli Avossa; del Settecento, il monumentale Palazzo Genovese. La fontana dei pesci è del Settecento anch’essa, posta in Piazza Sedile del Campo e attribuita – con un po’ di fantasia – a Luigi Vanvitelli. 

 

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