Personaggi e precetti della Scuola Medica Salernitana
Dal vescovo Alfano I fino alla medichessa Trotula de Ruggiero, sono tanti i personaggi che hanno dato lustro alla Scuola Medica Salernitana.
La Scuola Medica nasce e si sviluppa grazie alla presenza di grandi personaggi legati alla Chiesa, ecclesiastici e monaci, che hanno esercitato la loro professione per il benessere materiale, oltre che spirituale, dei poveri, dei ricchi e dei nobili.
I monasteri, e specialmente quello dedicato a San Benedetto, erano infatti destinati anche ad ospitare i malati, ostelli per le loro infermità. E grandi medici erano grandi ecclesiastici, primo tra tutti Alfano, gloria di Salerno, della Scuola Medica, dell’ordine benedettino, e della cultura.
Ma più di tutto, a spiegare quanto importante sia stata la cura dei corpi connessa con quella delle anime c’è l’idea alla base dell’insegnamento della Scuola: che l’armonia e l’equilibrio siano davvero la fonte della salute. Armonia tra i quattro elementi che compongono il Creato, e cioè aria, acqua, terra e fuoco, che sono gli stessi elementi alla base del nostro corpo umano, e i cui squilibri generano le malattie.
Equilibrio tra mente e cibo, per trovare nella letizia e nella dieta le migliori cure. Equilibrio tra malattia e sua cura, dovuta specialmente a erbe “officinali”, che, coltivate nei giardini dei conventi, curano ogni cosa. E così sta scritto all’inizio del Regimen Sanitatis Salernitanum, il testo in versi latini, che è il riassunto della saggezza della Scuola, e che andava mandato a memoria da ogni medico. Così recita l’esordio del poemetto, dedicato al Re Riccardo d’Inghilterra, che a Salerno fu guarito:
“Se vuoi guardarti dai mali, se vuoi stare sano, scaccia le gravi preoccupazioni, non abbandonarti all’ira. Sii sobrio nel bere, moderato nel mangiare, non ti sia gravoso passeggiare dopo pranzo, evita il sonno pomeridiano, non trattenere l’orina, non comprimere l’ano con sforzo. Se tu osservi queste regole con cura, vivrai sano molto a lungo. Se ti mancano i medici, ti siano medici questi tre principi: mente lieta, riposo, dieta moderata”.
Ma che cosa si insegnava nella Scuola Medica in epoca conosciuta? Come era organizzato l’insegnamento?
Innanzitutto occorre dire che la Scuola era laica, e questo è il suo aspetto organizzativo più importante: un’Università medievale la cui organizzazione era interamente affidata a ordinamenti laici, anche se, molti, tra i maggiori maestri, erano uomini di chiesa e le cliniche spesso corrispondevano con i monasteri.
Nel cuore dell’Europa Mediterranea, nei secoli prima del Mille, fioriva già un’istituzione culturale che rispondeva solo a se stessa e alle sue finalità di insegnamento e di cura dei corpi. E, poi, la medicina era solo uno dei campi di insegnamento, perché a Salerno si insegnava e si conferivano lauree anche in filosofia, perché nessuna scienza è valida se non è aiutata dall’amore per il sapere.
Nei secoli la sua struttura e i suoi insegnamenti sono mutati, ma, alcuni elementi sono rimasti fissi: rapporto tra cura di sé e allontanamento dalle malattie, cura del corpo e dello spirito, attenzione alle diete, utilizzo dei medicinali naturali ricavati dalle piante coltivate nei giardini della città.
All’inizio, la Scuola era di medicina pratica, e cioè basava l’insegnamento sui precetti e sull’osservazione dei medici esperti; gli scritti elaborati erano, fondamentalmente, del tipo compendium, e, cioè, pura e semplice rassegna di norme e principi. Dopo l’epoca di Alfano, che traduce dal greco, e di Costantino, che presenta testi dall’arabo, spesso anch’essi traduzioni greche, si passa al commentarium, e, cioè, alla rielaborazione critica di testi classici, arricchiti da glosse e commenti. Cambia, dunque, il metodo d’insegnamento, che, dalla pura osservazione della pratica e dalla raccolta di casi e metodi empirici, passa allo studio dei classici, al confronto erudito tra pratica quotidiana e teoria.
A questo punto, si affermò la necessità di strutturare la Scuola anche organizzativamente, e prese forma una struttura corporativa, già esistente in tempi antichi: il Collegio Medico. L’esistenza di un organismo professionale, a tutela degli interessi dei medici salernitani, fu avvertita e, almeno in parte, realizzata fin dai primi secoli della Scuola Medica. Ma, solo nella seconda metà del Quattrocento, nacque il vero e proprio Collegio, e, cioè, un’istituzione autonoma, provvista di regolamenti statutari e formata da un certo numero di membri a vita. Il Collegium Doctorum era detentore esclusivo del diritto di conferire lauree, e conservò questo privilegio fino alla fine della sua secolare storia.
Il Collegio era composto da dieci membri ordinari, dei quali il più anziano era il Priore, seguivano, poi, il Promotore, il Capo Banca, il Primo Collegiale e così via. Tutti i medici salernitani erano Alunni e avevano diritto ad accedere, nel tempo, al Collegio.
Il prestigio del Priore era testimoniato dalla cerimonia di insediamento. Il Collegio invitava il Promotore, membro più anziano a cui spettava il diritto di successione, ad occupare il posto resosi vacante per la morte del Priore. Il Promotore sedeva in una poltrona separata dalla banca dei Collegiali, riceveva il berretto priorale, i guanti e il laccio dorati, scambiava il bacio della pace con i Collegiali.
Il Priore, non solo, conferiva le lauree, ma regolava, pure, la giustizia tra i Collegiali, gli Alunni e gli Aromatarii ( cioè i farmacisti). Il suo potere si estendeva anche ai controlli delle farmacie e delle spezierie e, quindi, al rilascio delle licenze e, infine, controllava il commercio delle spezie e delle droghe alla Fiera. Un grande potere corporativo, che si estendeva non solo, dunque, all’esercizio della professione, ma anche ai commerci e alla giustizia. E ciò durò per secoli, fino alla chiusura della Scuola, nel 1811.
L’aspetto della Scuola Medica che è importante sottolineare è quello della sua apertura culturale, e della sua disponibilità ad accettare contributi che vengono da ogni parte. Davvero cultura greca e araba, filosofia e scienza empirica, studio e applicazione sono gli elementi che hanno fatto grande la Scuola Medica di Salerno.
Tra i mille medici salernitani ce n’erano tanti giunti da lontano, e il più grande tra questi fu certo Costantino l’Africano.
Arrivò a Salerno da Cartagine, dove era nato, e, come racconta Pietro Diacono, dopo lunghi pellegrinaggi nel Mediterraneo. Prima si recò al Cairo per studiare grammatica, dialettica, retorica, geometria, aritmetica, matematica, astronomia, negromanzia, musica e fisica dei Caldei, degli Arabi, Persiani e Saraceni; avrebbe poi proseguito il viaggio per l’India e l’Etiopia. Tornato a Cartagine la sua grande erudizione lo avrebbe reso inviso ai concittadini, che addirittura pensarono di ucciderlo. Fu così che Costantino fuggì a Salerno.
Altre versioni parlano di un Costantino rapito da pirati salernitani e venduto come schiavo. Qui avrebbe guarito da una grave malattia il principe che lo avrebbe subito liberato.
Se incerta è la sua vita prima di Salerno, poi possiamo sapere con certezza che dopo aver vissuto come studioso e traduttore dall’arabo nella città, si recò a Montecassino per chiudere la sua vita da monaco.
Certo ci ha lasciato una serie di importanti testi scritti di suo pugno e una serie di traduzioni tali da farlo risultare tra i più insigni medici della Scuola, e certo fu quello che maggiormente contribuì a trasformarla da scuola di medicina pratica a vera e propria università.
Ci piace ricordare la figura di questo grande con una sua citazione, che svela qual è, al di là della dottrina, la vera missione di un medico:
“Il bravo medico, quando visiterà il malato, non orienti il suo cuore verso la moglie, non soffermi gli occhi sulla figlia e sulla serva: ciò infatti acceca il cuore dell’uomo. Egli deve essere solo al corrente della malattia che gli è stata confidata: talvolta infatti il malato rivela al medico ciò che invece si vergogna di confidare ai familiari. Fugga la lussuria, si guardi dalle inebrianti delizie del mondo che disturbano la mente e rafforzano i vizi del corpo. Ami la perseveranza nello studio per potersi prender cura della salute del corpo. Tragga profitto dalle lezioni senza annoiarsi cosicché, se gli capita di perdere i libri, la memoria gli possa venire in aiuto. Non gli sia di fastidio visitare malati di qualunque tipo, così da essere sempre più abile nella pratica. Sia pio, umile, di buon carattere, amabile, pronto a chiedere l’aiuto divino”.
(Dal Prologo al De Comminibus medico cognitu necessarii locis.)
Quello che ci sembra utile raccontare della Scuola Medica Salernitana è il suo spirito pratico ed empirico.
Come negli affari, così nelle scienze del fare, e quindi nella medicina, contano capacità di osservazione, pratica, esperienza. Ed a Salerno questi metodi furono particolarmente vivi e trasmessi. Importante è la lettura e lo studio, importante la conoscenza di Ippocrate e di Galeno, fondamentali le teorie sugli elementi e sui quattro temperamenti.
Ma il buon medico è quello che osserva, sperimenta, ricorda e compara. E nella Scuola questo approccio pratico arriva anche allo studio dell’anatomia, ovviamente non quella umana, perché era proibito sezionare corpi che dovranno risorgere, ma quella degli animali, per capire come essi sono formati e per comparazione, come sono fatti gli uomini.
Pratica e priva di pregiudizi, così priva di pregiudizi da permettere anche alle donne di esercitare l’arte medica. Le donne medico a Salerno sono state molte, e la più famosa di tutte è Trotula, autrice del celebre in tutta Europa “De mulierum passionibus in ante e post partum”.
I veleni erano la specialità dei medici di Salerno, e questo è testimoniato anche dalla storia di Sichelgaita, la moglie di Roberto il Guiscardo, accusata di aver tentato di avvelenare il figliastro.
Ma l’arte medica femminile a Salerno riguarda anche altre cure, quelle della cosmesi: “Le donne salernitane mettono la radice di viticella nel miele e poi con questo miele si ungono il volto: così curano le screpolature e il volto ringiovanisce”. (Bernardo Provenzale). Il corpo va curato, dunque, perché resti sano e, diciamolo, anche bello. Che male c’è?